Una nana bruna sotto il cielo australe

Racconti di viaggio. A caccia delle Nubi di Magellano

Contents

Uluru, ovvero Ayers Rock, sotto il cielo australe

Il grande cuore rosso dell’Australia Uluru sotto un Orione a testa in giù e la Grande Nube di Magellano. © Kwon O Chul

Londra 12:55. Sydney 23:55.
Sono sul volo di ritorno dall’Australia verso l’Italia ed ora a casa dovrebbero essere le 13:55. Di fatto sto morendo dal sonno a causa del ritmo australiano ma devo resistere almeno un paio d’ore. Così decido di buttare giù qualche riga sulle emozioni appena vissute sotto il cielo australiano. Ma iniziamo dall’inizio…

Il volo di andata

Il motivo ufficiale per cui decido di sparami 26 ore di aereo una settimana prima del Natale è mia sorella. Vive in Australia da 5 anni e non la vedo da 1 e mezzo. Eppure non nascondo che la curiosità per il cielo australe è molta, mi sono ripromessa di non tornare senza aver visto le Nubi di Magellano. È la mia prima volta sotto la linea dell’equatore e per essere sicura di vedere le stelle australi, per noi sempre nascoste, ho controllato anche le fasi lunari. Tutto ok. Arrivo con la Luna Piena e da quel momento in poi ogni notte è buona.

Lo ammetto, il primo tentativo di osservare le famosi nubi avviene in modo del tutto ingenuo dalla cabina dell’aereo. Che faccia avresti fatto vedendo una persona, tutta imbacuccata sotto la coperta, che guarda fuori dal finestrino isolandosi il più possibile dalle luci interne? Ecco quella ero io non appena decollati da Bangkok. Ci si potrebbe illudere che dall’aereo si veda un cielo fantastico eppure no. Le luci di posizione delle ali sono deboli ma troppo luminose se comparate al buio circostante. Insomma niente Nubi di Magellano, ma io non demordo! Qualche stella nel cielo si vede ma non la riconosco. Già questa è un’emozione straordinaria per chi – come me – è così follemente ossessionato da conoscere a memoria quasi tutte le costellazioni del nostro emisfero. Una costellazione in realtà la riconosco, il cacciatore Orione, anche se Rigel e Betelgeuse sembrano essersi scambiati?!

La costellazione di Orione rovesciata. © Yuri Beletsky

Le costellazioni a testa in giù

Credevo di essere pronta a questo grande sconvolgimento astrale eppure vedere le costellazioni capovolte è stato un duro colpo. Passando l’equatore si vedono invertite nel cielo, come riflesse a metà su un asse immaginario. Per quanto riguarda Orione, resta comunque riconoscibile, ben più difficile da trovare è il Canis Major. Certo, Sirio resta anche qui la stella più luminosa del cielo ma vedere il cane con le sue zampette in aria è un po’ strano. Almeno il Canis Minor nella sua semplicità resta fedele a sé stesso: una linea era ed una linea rimane.

Anche la Luna capovolta

Eh già! Non ci volevo credere neanche io finché non l’ho vista. Gli abitanti del down under sono abituati ad una Luna diversa alla nostra. Una Luna con la maggior parte dei mari in basso e il cratere di Tycho in alto. Come se non bastasse, anche gli spicchi delle fasi sono invertiti. Almeno il Sole continua a sorgere ad Est e tramontare ad Ovest, altrimenti credo che sarei svenuta, vittima di una Sindrome di Stendhal versione astronomica.

“The Pointers” indicano la strada fino alla Croce del Sud. APOD 17/05/2017 ©Yuri Beletsky

La croce del Sud, finalmente

La Polare non si vede, eppure nessun’altra stella è stata così intraprendente da prendere il suo posto nel Polo Sud celeste. Cioè di stelle ce ne sono ma non sono visibili ad occhio nudo. Il Polo Sud celeste corrisponde ad una zona scura della costellazione dell’Ottante, di per sé già molto deboluccia. In cieli bui si riconosce comunque la stella Sigma Octantis, anche conosciuta come Polaris Australis: la stella più vicina al polo sud celeste brilla con una lievissima magnitudine di 5,5.

Come hanno risolto gli antichi esploratori? Si sono ingegnati ed hanno individuato nel cielo una bella croce, ora conosciuta come Croce del Sud. Con un procedimento simile a quello che adoperiamo anche noi, moltiplicando l’asse maggiore della Croce per 4 volte e mezza si individua il Polo Sud celeste. La Croce del Sud è anche la più piccola delle 88 costellazioni ed in alcuni mesi scompare sotto l’orizzonte, alla latitudine dell’Australia.

Posizione della Croce del Sud durante l’anno. © Sydney Observatory

Questa mappa è dell’Osservatorio di Sydney e mostra la sua posizione il 15 d’ogni mese, alle ore 20. Lo spazio tra ogni mese corrisponde a 2 ore. Così se si osserva il 15 marzo alle 22 la croce sarà nella posizione di Aprile. Viceversa se si osserva il 15 settembre alle 18 sarà nella posizione di Agosto.

La Croce del Sud è abbastanza semplice da trovare ma non bisogna confondersi con la False Cross formata dalle stelle della Carena e della Vela nella nave di Argo. Per non sbagliare si possono utilizzare le due stelle che vengono chiamate The Pointers: Alpha e Beta Centauri, le due stelle luminose della costellazione Centauro prolungate conducono all’asse minore della croce.

Telescopio di Sydney. © Sydney Observatory

In visita all’Osservatorio di Sydney

Non appena è passata la Luna Piena prenoto una visita notturna all’Osservatorio di Sydney. Iniziamo con il Planetario, uno strumento modesto e una cupola da 15 persone, comunque utile per alcune nozioni di orientamento. Molto più interessanti sono i Domes, le torri che contengono i telescopi. Iniziamo dal South Dome dove è conservato il più antico telescopio di tutto l’emisfero australe. La nostra guida, una giovane e bravissima ragazza di nome Nu, lo usa coi guanti, il puntamento è ovviamente manuale. Praticamente è un grande tubo rifrattore di rame e legno. Fa comunque la sua bella figura. È stato installato per il transito di Venere del 1874 ed ancora funziona!

Dopo aver osservato Marte e Sirio, i classiconi, ci spostiamo al North Dome Sud dove le cose si fanno serie con un riflettore di 40 cm motorizzato e torniamo al XXI secolo. Mi sorprendo nello scoprire che qui usano lo stesso software che utilizzo al lavoro: TheSky. E per un attimo mi sento più vicina a questi colleghi che stanno a testa in giù.

Globular cluster 47 Tucanae. © NASA/Hubble

Il primo oggetto degno di nota che osserviamo è 47 Tucanae. Un ammasso globulare con un diametro di circa 120 anni luce nella costellazione del Tucano. È stato come osservare M13, l’ammasso di Ercole, solo molto più popolato di stelle. Del resto Tucanae Cluster è il secondo ammasso più luminoso che conosciamo! Il primo è Omega Centauri, sempre dell’emisfero australe, ma si trova sotto l’orizzonte. Sob!

Tarantula Nebula vista negli infrarossi. © NASA/Hubble

Basta, non resisto più! Devo chiedere a Nu se da Sydney è possibile vedere le Nubi di Magellano. Mi risponde di no, in parte a causa dell’inquinamento luminoso ma soprattutto perché sono troppo estese per essere ingrandite dalle lenti di un telescopio. Per consolarmi però propone di aggiungere un oggetto extra alla scaletta dell’osservazione: la Tarantula Nebula. Una nebulosa che si trova all’interno della Grande Nube e in cieli bui per davvero si dovrebbe vedere anche ad occhio nudo. Sul fatto che assomigli ad una tarantola non saprei, di certo come densità ricorda la Nebulosa di Orione. La cosa più affascinante però è stata osservare qualcosa che si trova al di fuori della nostra galassia e che coi telescopi di casa non riusciamo a vedere.

Le stelle Sirio e Canopo con le Nubi di Magellano. © Michael Watson

Come riconoscere le Nubi di Magellano?

Chi mi conosce sa che sono decisamente testarda, di certo non ho abbandonato l’idea delle Nubi di Magellano. Da prima di partire stavo già puntando al cielo nelle vicinanze di Townsville, una città del Queensland dove siamo andati ad osservare la Grande Barriera Corallina (altra storia ma ne vale davvero la pena!). Era sera, la Luna era di un solo giorno e c’era pochissimo vento, nessuna nuvola. Dopo cena convinco quasi tutti a salire in auto e ad una quarantina di chilometri dalla città ci fermiamo in una buia strada laterale. Appena scesa dall’auto..

E sbbaaamm! Eccole là le due nuvolette di Magellano! Subito visibili, alte nel cielo, anche con i fari dell’auto ancora impressi nella retina. Non ho neanche bisogno di cercarle. Ora capisco perché la nostra guida Nu le aveva definite too big. Nel cielo sono davvero enormi, molto più di come sembrano su Stellarium Console o nelle foto che girano nel web. Ad occhio direi che appaiono almeno 10 volte più grandi della galassia di Andromeda. Ad una ricerca approfondita scopro che occupano lo spazio equivalente di 20 lune piene! Pare che da un momento all’altro possano collassare sopra di noi. Si nota anche come sono allungate verso la Via Lattea, visibile in direzione della Carena. Ad ogni modo ecco il segreto per trovarle in luoghi meno bui: bisogna seguire la linea che congiunge Siro a Canopo, la seconda stella più luminosa del cielo australe (difficile sbagliare) e più avanti si incontrano la Grande e la Piccola Nube.

Il mio viaggio sotto il cielo australe si conclude qui, a 2 giorni dalla partenza, soddisfatta di aver visto le nostre due cuginette satelliti. Di sicuro non è un addio, ma un arrivederci.

Scritto da

Alessandra Frontini

Domande o commmenti?

×